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Dado libera tutti!
lunedì, Lug 27

Una lettura superconsigliata, perfetta per le lunghe giornate di ozio estivo

La storia di questo libro può essere detta in poche righe, semplicemente ritagliando e manipolando la quarta di copertina: psicanalista affermato, il dottor Luke Rhinehart si rende conto di condurre una vita banale, sebbene “modello”, ed entra in crisi. Al termine di un’ennesima, paludosa serata di poker, tenta un rimedio alla noia: scorge fra le carte da gioco un dado, e gli affida una prima decisione: stuprare o meno la moglie del suo socio e migliore amico. Ingolosito dagli esiti, non resiste alla tentazione di proseguire il gioco, iniziando a regolare tutta la sua vita, compresa la terapia dei suoi pazienti, in base al responso dei dadi, e diventando così l’uomo dei dadi.

Questa la storia. Alla quale andrebbe aggiunta qualche noterella sulla scrittura (divertente, caustica, ironica). E tuttavia quello che mi interesse qui non è tanto questo, quanto provare a seguire una suggestione che L’uomo dei dadi mi ha suggerito quasi da subito, quella di essere (volontariamente o meno) il racconto di un’esperienza di vita possibile, guidata da una certa lettura, foucaultiana, del Nietzsche della morte di Dio come morte dell’uomo. Scrive Foucault:

Ai nostri giorni, e Nietzsche anche qui indica da lontano il punto d’inflessione, si afferma […] la fine dell’uomo (quel sottile, impercettibile scarto, quell’arretramento nella forma dell’identità, che hanno portato la finitudine dell’uomo a convertirsi nella sua fine)[…]. Più che la morte di Dio – o meglio nella scia di tale morte e in una correlazione profonda con essa – il pensiero di Nietzsche annuncia la fine del suo uccisore: ossia l’esplosione del volto dell’uomo nel riso, e il ritorno delle maschere […] l’assoluta dispersione dell’uomo. [M. Foucault, Le parole e le cose]

L’uomo, inteso come (rappresentazione di) quel soggetto unitario e coerente che tiene insieme tutte le rappresentazioni, le esperienze, i discorsi, è un’invenzione recente, invecchiata in fretta e niccianamente destinata a essere superata, o almeno, e qui si innesta l’esperimento di L’uomo dei dadi, destinata ad essere superata se si vuole essere felici.
Perché essere uomo in questo modo significa condannarsi all’impossibilità del dionisiaco, esattamente quello a cui mira, per sé e per gli altri, il dottor Luke Rhinehart:

La mia passione […] è stata cambiare la personalità umana. La mia. Quella degli altri. Quella di tutti. Dare agli uomini un senso di libertà, di esaltazione, di gioia. Restituire alla vita l’emozione che proviamo quando con i piedi nudi tocchiamo la terra all’alba e vediamo il sole prorompere tra gli alberi di montagna come un lampo orizzontale; quando una ragazza offre per la prima volta le lebbra per essere baciata; quando un’idea, improvvisamente, esplode nel nostro cervello riorganizzando, in un istante, le esperienze di tutta una vita.

Per essere felici, occorre uccidere l’uomo così come oggi è inteso, come io identitario e coerente, e tornare a quella spontaneità gioiosa e giocosa dell’infanzia:

Perché i bambini erano così spesso spontanei, pieni di gioia e concentrati mente gli adulti erano controllati, pieni d’ansia e dispersivi?
Era la maledetta sensazione di avere un io: quel senso dell’io che secondo gli psicologi tutti dobbiamo avere. E se […] lo sviluppo di un senso dell’io fosse normale e naturale ma né inevitabile né auspicabile? Se rappresentasse un’appendice psicologica: un inutile, anacronistico dolore nel fianco? O, come le enormi zanne del mastodonte, un pesante, inutile e, in definitiva, autodistruttivo fardello? Se il senso di essere qualcuno rappresentasse un errore evolutivo disastroso per il futuro sviluppo di una creatura complessa come il guscio per le lumache o le tartarughe? 
[…]
 Gli uomini devono cercare di eliminare l’errore e sviluppare in loro stessi e nei loro figli la liberazione dal senso dell’io. L’uomo deve sentirsi a suo agio lasciandosi andare da un ruolo all’altro, da un gruppo di valori a un altro, da una vita all’altra. Gli uomini devono essere liberi dalle costrizioni, dagli schemi, dalle coerenze per essere liberi di pensare, sentire e creare in modi nuovi.

In altri termini, per essere felici occorre passare dall’uomo così come è stato fino ad ora a un uomo nuovo, «L’uomo a Caso. L’uomo imprevedibile», capace di portare nell’età adulta la spontaneità dionisica dell’infanzia:

«Noi vogliamo creare un mondo di bambini adulti senza paure. Vogliamo liberare la molteplicità indotta in ciascuno di noi dalla nostra società anarchica e contraddittoria. […] Vogliamo la libertà dall’identità individuale. La libertà dalla sicurezza, dalla stabilità e dalla coerenza. Vogliamo una comunità di creatori, un monastero per pazzi gioiosi»

Cioè: vogliamo generare ed essere generati dal caos creatore, il caos che è reso possibile dall’affidarci al caso. Perché il caso è l’unico strumento capace di deresponsabilizzarci – Luke Rhinehart si sente libero perché allo stesso tempo si sente liberato dal suo essere un agente responsabile delle sue azioni -, e quindi di liberarci dal senso di colpa e dalla paura che frena la nostra potenza dionisiaca e creatrice.
Dobbiamo lasciarci esplodere nella molteplicità. E qui risuona, ancora, un Nietzsche abusato (sui social network) che annuncia il pericolo di un’umanità ancora non pronta a superarsi in un oltre-uomo capace di andare al di là di quelle che fino ad oggi erano le possibilità solo umane:

Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare! Io vi dico: bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante: Io vi dico: voi avete ancora del caos dentro di voi. Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non partorirà più stella alcuna [F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra]

Come risuona, in molte pagine di L’uomo dei dadi, una critica feroce (vagamente foucoultiana anch’essa) alla psicoanalisi come dottrina dell’ordine, della costrizione e della normalizzazione: «un ospedale psichiatrico è un’istituzione globale» e lo scopo della psicologia è, accettare come ineluttabile l’infelicità, «aumentare la produttività, integrare l’individuo nella società in cui è inserito e aiutarlo a vedere e accettare se stresso. Non […] alterare abitudini, valori e interesse dell’io, ma […] vederli senza idealizzazione e di accettarli per quello che sono».

Disclaimer:
• non è affatto detto che l’autore di questa nota di lettura sia d’accordo con questa idea di gioia, felicità e liberazione e, forse, neppure con questa indebita sovrapposizione di Nietzsche, Foucault e L’uomo dei dadi.
• nessun Deleuze è stato torturato nell’estensione di questa nota di lettura.
• un neo-occasionalista potrebbe obiettare che il caso in fondo è pur sempre scelto da Dio (come ad un certo punto osserva Luke Rhinehart) e che quindi questa morte di questo uomo alla fine restaura in senso assoluto proprio Dio.

Luke Rhinehart, L’uomo dei dadi, marcos y marcos, Edizione tascabile: 12,00. Edizione con dadi: 20,00

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