La fabbrica dei negri

Sutton University, un’università per neri nel Sud degli Stati Uniti. Anni settanta, non troppo distanti dai fatti di Selma, Alabama.
E’ qui che Scott-Heron individua il posto ideale dove far emergere il grido di frustrazione e di rabbia di una intera comunità. Una comunità che, prima di ogni altra cosa, deve risolvere i problemi al suo interno. “E’ sempre stato questo il problema dei negri negli Stati Uniti. I primi a lamentarsi e gli ultimi a muovere un dito”. Problema che i bianchi conoscono bene.

In poco più di 48 frenetiche ore, attraverso la rappresentazione di una rivolta studentesca, l’autore riesce a far emergere le varie e troppe anime di un movimento e l’abile messinscena di un sistema educativo pensato dai bianchi per mantenere lo status quo. D’altronde basta riconvertire un vecchio militante radicale e trasformandolo in ferreo rettore di una struttura universitaria ed il gioco è fatto. Ci potranno essere tante università per neri ma serviranno a produrre solo individui semibianchi e pensatori a metà. La protesta di un cazzuto gruppo di studenti innescherà la miccia. La loro lotta contro il rettore, le loro divisioni interne, la repressione ordita da chi, qualche anno prima, vestiva il dashiki, accompagneranno il lettore in questa emozionante storia.
Attraverso le voci dei protagonisti Scott-Heron reclama un processo educativo volto non più a sbiancare gli studenti ma a renderli consapevoli che una volta laureati entreranno nel mondo del lavoro come neri. Ed è una riflessione che potrebbe benissimo essere ripresa, con le dovute differenze, anche a chilometri ed anni di distanza.